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Il relitto del “glorioso” Plinio

Il relitto del piroscafo Plinio giace sul fondale del lago di Mezzola dal 9 dicembre 2010, quando dopo anni di ormeggio in condizioni di degrado, di fronte al ristorante Barcaccia di Verceia, un forte vento ne ruppe gli attracchi e lo scafo senza il funzionamento delle pompe di sentina, per infiltrazioni sempre più corpose, si riempì di acqua inclinandosi per poi inabissarsi. Adagiatosi sul fondale pendente vi scivolò fino a giungere a circa 200 metri dalla riva e ad una profondità di 45 metri.
Inaugurato nel 1902, il Plinio fu il terzo piroscafo lariano a portare quel nome: il più antico, varato nel 1826, fu il secondo piroscafo presente sul nostro lago ed aveva lo scafo interamente di legno. Il secondo Plinio toccò l’acqua nel 1892, costruito dalla ditta Escher Wyss di Zurigo, aveva un ottimo motore funzionante a carbone, a triplice espansione forniva ben 500 cavalli di potenza che gli permettevano di viaggiare fino a 28km/h! Ma di lì a qualche anno si decise di usarlo esclusivamente per il trasporto merci, infatti alla fine del secolo i passeggeri lamentavano che a bordo dei piroscafi c’erano spesso voluminose mercanzie ad intralciare, così la Società Lariana pensò di dedicare alcuni natanti unicamente al trasporto mercantile. E così il “Plinio secondo” fu ribattezzato “Commercio”, ne conservarono il capiente scafo ma tolsero il prezioso motore sostituendolo con uno ad elica. Il potente motore Escher Wyss venne installato in un nuovo elegante piroscafo, il terzo Plinio, varato nel 1902 era più grande del precedente, con i suoi 53 metri di lunghezza e 11 di larghezza trasportava fino a 750 persone.

La discesa scorre lenta per precauzione, non sappiamo su che punto del relitto arriveremo. L'acqua è fredda, ben 4gradi, la visibilità assente: non si vedono le proprie ginocchia e le pinne. Il compagno deve stare attaccato, fisicamente attaccato, al braccio altrui. L'acqua è così densa e lattiginosa che assorbe il fascio delle nostre torce. Dopo tre minuti siamo alla quota del relitto, quasi non lo vediamo: impattiamo! 
"Allora è vero!!!", penso, "tutto quello che mi hanno sempre detto". Subito prendo tempo, direzione, memorizzo alcuni punti visivi che ci saranno utili per ritrovare la linea di risalita. Il pedagno con i magneti è fissato sulla murata dritta di fronte alla porta della cabina di comando mentre l'ancorotto invece era ben incastrato tra alcuni cavi in acciaio della luminaria, lo libero e lo fisso alla battagliola, sarà più facile recuperarlo dalla superficie poi.

L'immersione inizia. 
Si vedono 70cm., non oltre. L'aver studiato visivamente la conformazione del relitto in modo ossessivo si rivela la chiave per poter riconoscere i dettagli del glorioso Plinio. Iniziamo a navigare lungo la battagliola, molto lentamente per non alzare il sedimento. Scorrono le bitte e alcuni dettagli della rivettatura con cui erano state giuntate le lamiere dello scafo. Mirabile architettura navale novecentesca. 
Raggiungiamo il bellissimo occhio di cubia da cui venivano calate le ancore, poco oltre ci aspetta il "tagliamare", affilato e dritto che scompare nel fango. È il primo dei due momenti in cui ci stacchiamo leggermente dal relitto per vederne l'insieme. 
L'idea di perdere il relitto ci spaventa, con visibilità così ridotta sarebbe difficile anche ritrovarlo. 
Proseguiamo sulla murata di sinistra, a centro nave compare la mitica scritta, intagliata e non apposta "PLINIO". Scendiamo di qualche metro di quota, andiamo a vedere la prima delle due pale spinte dal vapore dell'allora caldaia a carbone. È davvero entusiasmante!
Scorriamo un po' di oblò, arriviamo a poppa. Un'insieme di spuntoni che disorientano parecchio. Riconosco alcuni cavi e lembi del vecchio telo parasole "blu". Avvicinarsi troppo sarebbe la fine. Una fitta coltre di oltre 30/40cm di fango lo ricoprono. Questa parte del relitto è davvero ostica e negativamente suggestiva. 
Girata la poppa recuperiamo la dritta. Qualche parsimoniosa pinneggiate verso la coperta, penetrare la sala viaggiatori ci appare come follia. Di nuovo la scritta Plinio e la seconda pala. Torniamo al pedagno. Mancano cinque minuti alla fine del nostro tempo di fondo. Giriamo attorno alla cabina del timoniere, infiliamo le torce dentro qualche spesso vetro rotto: il nulla eterno. Arriviamo alla scaletta di sinistra che porta al "ponte superiore" dove sta il fumaiolo. Preferiamo non attraversare, i riferimenti sono inesistenti.

È il trentesimo minuto.
 Si risale!
Scambi d'intesa e partiamo con deep stop e tappe deco. Altrettanti trenta minuti di decompressione e siamo di nuovo in superficie.

 

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L’aereo del terzo Reich in fondo al lago di Bourget.

Il 1935 non è soltanto l'anno di messa di in produzione del velivolo bellico FW58 ma è anche l'anno in cui in Italia vede la luce il libro manifesto del movimento aereo futurista, "L'Aeropoema del Golf della Spezia" a firma di F. T. Marinetti. Il poeta a bordo di un velivolo biposto motorizzato Caproni, in compagnia dell'amico e a pilota Angelo Castoldi entra sopra Lerici "negli onnipotenti settecento chilometri all'ora […] per poi voluttuosamente risalire a spirale impregnando di mesta fantasia le sublimi quote sonore degli idrovolanti che vanno stanno prolungaaando prolungaaando le loro note tenuuute vriii vrooo griii groo che talvolta interrompe interrooompe un morbido vraaar vraaar o un morente vuaaam vuaaam traa griii vraa griii". 
Le stesse sensazioni, tra un tourbillon e l'altro, devono averle provate i quattro giovani avieri tedeschi quel martedì mattina del 30 marzo 1944, sul finire dell'inverno.

Il bimotore FW 58C, versione dotata di radar per la navigazione notturna, decolla dall'aeroporto di Lyon-Bron con a bordo quattro giovani piloti della Luftwaffe in addestramento avanzato. L'aereo era stato costruito qualche anno prima, quando a partire dal 1938 fu messo in produzione presso l'azienda Bremer Flugzeugbau AG, fondata nel 1923 da Henrich Focke e Georg Wulf con il supporto di Werner Nauman, a Brema.

L'FW58C era una versione avanzata del precedente modello, aveva dimensioni alari pari a 21m mentre la carlinga era 14 metri di lunghezza per un'altezza massima alla sommità di coda di 4,21metri. Il bimotore aveva peso pari a 2400kg, un raggio di azione di ottocento chilometri e poteva raggiungere la una velocità massima di 280km/h. Il velivolo era sospinto da una doppia motorizzazione a otto cilindri a V rovesciata di novanta gradi della potenza cadauno di 260 CV che terminava con eliche bipale in legno. La richiesta di sviluppare un simile aereo di addestramento fu esplicitamente avanzata negli anni che precedettero lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale dal Reichsluftfahrtministerium che voleva equipaggiare l'aviazione tedesca, "Arma dell'Aria", con un velivolo in grado di formare avieri realmente offensivi in battaglia. 
A capo della Luftwaffe durante il Terzo Reich vi fu fino al 1945 l'ex asso dell'aria nonché spietato stratega Hermann Göring. L'alto ufficiale in comando portava ricamate sulle bianche uniformi i segni della sua Divisione: la coccarda alare "croce nera bordata" posta anche sulla fusoliera dell'FW58C, la svastica che era anche il distintivo di coda e infine il fregio da elmetto, l'aquila rampante che tiene come un'arpia la svastica nei sui artigli mentre spicca il volo.

Sono passati quaranta minuti dal decollo e il velivolo sta sorvolando le Alpi della Savoia quando alle 13.15 la caratteristica ala di gabbiano rovesciata dell'FW58C diviene improvvisamente troppo bassa sul piano dell'acqua del lago di Bourget. Forse un errore di manovra, forse un'esercitazione spinta oltre il limite ha causato l'impatto del velivolo con la superficie del lago. La densità dell'acqua è superiore a quella del calcestruzzo armato a quella velocità e dei quattro avieri a bordo due perdono immediatamente la vita, gli altri due in avanzato stato di ipotermia con la temperatura dell'acqua che non supera i quattro gradi sono salvati dai pescatori locali di Conjux. La carlinga numero di serie 3652 immatricolata TD+QE si inabissa velocemente per adagiarsi sul fondo del lago a quota -110m, e da qui inizia la nostra esplorazione odierna.

Tra indice e pollice della mano sinistra scorre la cima di discesa che a meno quaranta metri prende una deviazione per divenire ancora più verticale. Il buio avvolge tutto. 
L'acqua è nera come la svastica che sul piano di coda appare intorno ai meno novantotto metri. 
Mi giro di scatto a sinistra, è lì. L'FW58C è conficcato nel fondale a - 110m. Il timone è denso di storia, così come le scritte teutoniche ancora perfettamente definite che sono apposte sul rivestimento ceruleo della carlinga. 
L'impatto che si ha con il velivolo lascia a fauci secche. Ci si sente impotenti davanti alla Storia. Non è soltanto un aereo, o una macchina bellica, esso rappresenta il Novecento nella sua nera teatralità di secolo breve.

Scendo piano, come un ospite inatteso. I respiri cadenzati mi fanno ondeggiare fino sul fondale seguendo la linea mediana del traliccio. Quando approccio la cabina di pilotaggio quel che mi colpisce è lo spazio angusto entro cui stavano i due piloti. 
Aspetto, osservo, taccio. Il pensiero è fermo. L'immobilita delle cloche e dei comandi, l'antenna e il radar poco al di sopra. Dietro vi è un'altra parte dell'abitacolo entro cui stavano gli altri due membri dell'equipaggio. 
I dettagli compongono uno sguardo d'insieme davvero suggestivo soprattutto nel momento in cui si staccano gli occhi dal particolare e si alzano le pupille verso l'alto per sentirsi contenuti tre le due ali. 
Il carrello è in parte contenuto e in parte giace insabbiato nel limo del fondale. Mi sposto da prima sull'ala destra dove scorgo l'altra effige del Reich, la croce nera che pallida appare sulla bombatura dell'ala. Qua e là brandelli di rivestimento fluttuano liberi, al di sotto compaiono i profili alveolari che costituivano la struttura leggera del velivolo. È una raffinata ingegneria. 
Si possono ancora apprezzare le modanture impresse ai profili d'acciaio forgiati a Brema quasi ottant'anni fa. 
Lascio che l'ala scorra alle mie spalle per raggiungerne l'estremità. Mi metto in asse e riesco ad apprezzarne a pieno la sezione ovoidale. Sembra una goccia di rugiada, una lacrima.

Svolto. Proseguo lungo tutto il profilo delle ali di gabbiano rovesce per ritrovarmi all'estremità sinistra del bi motore. Guadagno qualche metro di quota e raggiungo i - 105m. D'ora in avanti risalgo la china fronteggiando il traliccio nudo della carlinga. Il rivestimento è scomparso, tubi poco innocenti compongono una geometria tetraedrica ad alta tensione. 
La coda con la sua deriva e l'impennaggio è l'ultima immagine che raccolgo prima di staccare dal relitto. Sono trascorsi venti minuti. Abbasso i fari, lascio che L'FW58C scompaia lentamente nella coltre buia del suo lago adottivo mentre respiro dopo respiro i metri diminuiscono sopra il mio capo finché non vedo più l'aereo.

Penso alla superficie che ha tradito il giovane equipaggio della Luftwaffe mentre sono attraversato da sensazioni contrastanti. Che l'acqua abbagliata dal sole sia stata lo specchio della loro morte come per Narciso? Qui tutto è sospeso alle prime ore del pomeriggio datato 30 marzo 1944. Mentre risalgo mi tornano in mente le parole di F. T. Marinetti che concludeva il suo aeropoema così: "Lassù lassù dove si sentono sulle guance le seriche dolci guance di Dio ogni cacciatore angelo irto di tizzoni veloci sentendosi ad un tratto attaccato alle spalle spia nel sua diabolico specchio / Tempismo / Nessuno degnò calcolare il sole e il suo straziante dolore umano in quella eterna lagrimosa gioconda aurora d’artiglierie".

Primo Team

Andrea Murdock Alpini
Umberto Bona
Alessandro Ruga
Samuele Capace

Secondo Team

Maurizio Ghiotti
Ivan Giauna
Marco Morando
Marco Fossati

Assistenti di superficie

Lionel Canonge
Jean Paul Leroux

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esplorazioni

In località riva San Lorenzo, a Tremezzo (CO), si trova affondata alla profondità di -22m una gondola lariana.
Il relitto era conosciuto già nei decenni scorsi dagli anziani del ramo del Lago di Como che per motivi di pesca o trasporto avevano ben identificato la posizione della gondola. Il pescatore Sala Pietro di San Giovanni (classe 1905) ricorda già dai premi decenni del secolo scorso la presenza dello scafo sul fondale di riva San Lorenzo, non identificandolo esattamente come gondola o comballo ma come imbarcazione carica di sacchi. Tali conoscenze sono state tramandate al figlio, Angelo Sala (classe 1942), che quando calava le reti da fondale come le “perseghe” prestava attenzione a non farlo nell’area del relitto.
Il primo subacqueo a darne notizia è stato inizialmente trentacinque-quarant’anni, Rinaldo Marcelli, nel 1980 circa. Nessuno si è mai dedicato all’identificazione del relitto. Il team subacqueo composto da Andrea “Murdock” Alpini, Renato Oliva, Fabrizio Pinna si è occupato di documentare lo scafo attraverso video e fotografie oltre che attraverso rilevamenti dimensionali effettuati sul fondo.

L’origine del termine “gondola” è arcaico e da sempre riferito a una tipologia di imbarcazione veloce e agevole. Etimologicamente richiama il termine medioevale greco Kondôura, che a sua volta è derivato dal vocabolo Kòntouros che significa per l’appunto “a coda torta”. La nautica lariana è nata come diretta conseguenza delle caratteristiche ambientali e morfologiche del lago. I boschi di castagno e quercia che compongono i declivi prealpini del Lario sono divenuti i legnami utilizzati per le costruzioni dello scafo di gondole e comballi, mentre i boschi di ciliegio, robinia, carpino, frassino, olmo e betulla sono stati utilizzati per la produzione di carbonella, materiale dal duplice uso: il calore era utilizzato per la piegatura di tavole e archi delle gondole oppure per la produzione diretta di calce e cemento rapido attraverso la cottura di specifici sassi.

Lo scafo della gondola ha lunghezza pari a 19,60m con luce netta di carico di 15,80m, lo specchio coperto di poppa misura 1,70m mentre la coperta di prua è di 2,10m, larghezza massima di 5,20m, le murate hanno altezza pari a 1,80m, l’imponente timone “guernác”  misura complessivamente 2.90m di cui 1,10m è la parte della pala che si trova sopra il “tem” di poppa e la restante parte al di sotto della murata stessa. La lunga asta denominata “magnöla” che era usata per manovrare il timone non è stata chiaramente identificata sul fondo così come i remi “tremión” che originariamente erano fissati agli scalmi. La rastrelliera “rastreléra” entro cui era fissata l’asta del timone durante la navigazione, curiosamente non si trova a poppa ma verso la prua, probabilmente è stata spostata da chi ha visitato il relitto negli anni.

Sempre nella zona di poppa è possibile rintracciare la presenza di due piccole bitte metalliche, una per lato. Queste non servivano per gli ormeggi ma bensì per fissare le estremità della “traciùra”, una sorta di scotta.

L’altezza interna dello scafo è di 1,30m, sul fondo dello scafo ci sono infatti 50 centimetri di trama e ordito di tavole che con gli orizzontamenti compongono il pagliolato interno. La luce netta sotto arco è pari a 2,80m., la larghezza della tavola che compone l’arco è pari a 26 centimetri per uno spessore di 2,5 centimetri, lo scafo in corrispondenza degli archi ha dimensioni pari a 4,70m. La gondola a oggi si presenta con soli tre archi, di cui due ancora perfettamente in opera mentre un terzo si presenta rotto in corrispondenza della chiave.

L’albero, detto “mantàula”, che reggeva la vela ha circonferenza alla base pari a cinquantaquattro centimetri per un’altezza complessiva rilevata di 5,30m, in corrispondenza della sommità il legno è marcito erodendo almeno una ventina di centimetri sulla lunghezza. L’albero “arbuüsėl” si trova in parte coricato sul piano di carico della gondola per poi prolungarsi fuori bordo nel fango antistante il relitto. Questa struttura è costituita da un unico pezzo ed è possibile ancora vedere i nodi dei rami che sono stati rimossi per dare forma alla struttura navale dell’albero. La superficie velica della gondola era pari a circa 100 metri quadri.

L’interasse che costituisce l’orditura dello scheletro è pari a 50 centimetri ed è costituito da legname avente sezione pressoché quadrata con lato di 12 centimetri. Lo spessore delle tavole che costituiscono la murata è di 4 centimetri e sono giuntate con una tessitura di chiodi a testa asimmetrica utilizzati per collegare le tavole nel senso dello spessore. L’intercapedine esistente tra le varie assi era chiusa con la “tea” per poi essere calafata con la pece. La “tea” era una fibra vegetale ricavata dalla corteccia del tiglio. Nella gondola oggetto di studio, la calafatura è “scomparsa” o meglio, è divenuta solidale con le assi stesse. È ancora ben visibile sulla parte esterna delle murate il rivestimento in pece.

  

La caratteristica prua della gondola lariana presenta il “dulfén”, una componente che svolgeva la funzione di pattino per permettere allo scafo di strisciare contro il fondale durante gli approdi a terra. La delfiniera rilevata ha dimensioni piuttosto contenute, si tratta di un manufatto di 30cm circa che si congiunge sotto lo scafo con la linea prodiera. Studiando il piano di carico e i rapporti dimensionali della gondola è risultato essere in piena continuità con le gondole costruite anche in epoca successiva, la parte non adibita al carico merci è pari a 1/7 della lunghezza totale dello scafo. Questo dato ci ha permesso di calcolare la portata effettiva della gondola di Tremezzo, ovvero 350q. Il dato ottenuto è stato utilizzato come partenza per le indagini storiche circa la provenienza della gondola. L’analisi del carico trovato a bordo della gondola di Tremezzo è duplice: carbonella e sacchi compatti aventi dimensioni pari a 60x40x20cm contenenti materiale edilizio a pasta bianca. Questi dettagli sono stati di fondamentale importanza per il successivo lavoro storico condotto sulle imbarcazioni circolanti nel Lario con questa tipologia di merci. Il cemento rapido di Bellagio ha un impasto di colore giallastro/ocra chiara, mentre il gesso proveniente da Nobiallo ha la classica colorazione biancastra. Tuttavia anche la calce ha un colore grigiastro, per tanto assimilabile al gesso.
La gondola era priva di motore, tale tecnologia ha avuto i suoi primi utilizzi a partire dalla prima metà degli anni Dieci. Le imbarcazioni aventi dimensioni più ridotte normalmente portavano nomi femminili, tipicamente delle donne che componevano la Famiglia armatrice. Le imbarcazioni di dimensioni maggiori presentavano tal volta il nome del proprietario e/o del paese di appartenenza. La gondola di Tremezzo, essendo di dimensioni intermedie, dovrebbe aver avuto un nome femminile. Tuttavia sullo scafo non è stata rinvenuta alcuna lettera o elemento del nome che possa aiutare all’identificazione certa del relitto.

Tra le probabili cause dell’affondamento è stato considerato, da parte di chi scrive, un violento temporale accompagnato da venti di Argegnino. È un vento invernale, violento, a raffiche, proviene dalla Val d’Intelvi. Si biforca giungendo a Nesso e oltre a sud; a nord investe Lezzeno e si spinge freddo e con onda rinforzata sino a Bellagio. “Quando c’era vento e temporali la riva di San Lorenzo a Tremezzo era un ricovero sicuro per i barconi che provenivano carichi da Como. Davanti alla chiesa, a qualche decina di metri verso Villa Meier, c’è una gondola affondata a una profondità di circa venti metri, era carica di sacchi. [ … ] Non ricordo il nome della barca, credo fosse di Menaggio”.

Dato il contesto lacustre, le basse e costanti temperature dell’acqua, a oggi il relitto si trova in più che buono stato di conservazione complessivo. Tuttavia la presenza del vicino molo da diporto può influire molto con la preservazione futura del relitto della gondola, si rammenta la presenza di un imponente corpo morto per l’ormeggio, in cemento, nei pressi della timoneria, lato di sinistra. Fortunatamente ha solo sfiorato il relitto senza causare alcun danno.

 Per quanto riguarda il patrimonio culturale subacqueo nei suoi aspetti internazionali, è vigente la Convenzione UNESCO, adottata a Parigi il 2 novembre 2001 e ratificata dall’Italia con la legge n. 157 del 23 ottobre 2009. A caratteri più generali in Italia è comunque vigente la “Legge Urbani” ovvero la disciplina dei Beni Culturali e del Paesaggio del 22 gennaio 2004, n. 42. 

I materiali di studio saranno presentati presso il MUSEO BARCA LARIANA all’interno della conferenza “Il fondo del lago, specchio di una cultura” a cura di Andrea “Murdock” Alpini in occasione della giornata d’autunno FAI dedicata all’acqua.

Il video, girato con i fari Gio'Sub, è stato donato al museo per la fruizione pubblica. Vedi il filmato

 

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esplorazioni

Andrea Murdock Alpini ci racconta le giornate trascorse in Russia, per la nuova esplorazione Gio'Sub Orda cave, Exploro Russia - Febbraio 2019

Giorno 3 - 2 Febbraio 2019

La scala.

Ogni giorno la scala in ferro che permette di accedere al pozzo di ingresso alla grotta è sempre più ghiacciata. Ogni volta che si entra ed esce tutta l'acqua bagnata che vi cade sopra nel giro di breve tempo si solidifica creando uno strato di ghiaccio notevole.

Ci sono due corrimano, o meglio due tondini edili di grande diametro che permettono di reggersi durante i passi instabili. Quando ci si sente leggeri non è perché si ha "la grazia innaturale di Nisinskij" ma quanto più perché aumenta improvvisamente la frequenza cardiaca al sol pensiero di scivolare agghindati di tutto punto, e con una bi-bombola in spalla per di più. Se la scala è diventata il mio primo pensiero ogni volta che scendo in grotta, il crepito della muta stagna fredda e dura, che si attacca al legno della panca quando si esce dall'acqua, è diventato un suono familiare… per così dire!

Oggi abbiamo compito due immersioni per un run-time complessivo di 180 minuti. L'immersione del mattino è stata impiegata per cercare inquadrature e punti luce ambiente al fine di valorizzare alcune inquadrature del sifone. Una sferetta della luce sinistra ha deciso di abbandonarmi a metà della prima immersione, così armatomi di pazienza e ingegno ho cercato di

usare al meglio il mio braccio per dare la giusta angolazione al faro affinché la sospensione, che talvolta si presenta, sparisse quasi del tutto. Dopo novanta minuti di inquadrature “a braccio”, sia l’arto sinistro che il polso destro erano davvero provati! Deve essere per quello che non ho percepito il freddo? Si sa che l'approccio mentale è tutto oltre che condizionante, in entrambi i sensi di lettura.

Il laminatoio è un luogo davvero suggestivo posto a circa 350m dall'ingresso. Si trova nella parte meridionale della grotta proprio contro la parete di "confine", per così dire. Ho ribattezzato così questo spazio poiché la roccia appare fresata sia nella parte sommitale che in quella inferiore. Sono in realtà una serie di piani inclinati lunghi una ventina di metri circa in cui si passa quasi radenti il soffitto. Lo spazio è suggestivo anche poiché si arriva dopo una svolta secca a sinistra mentre si proviene dal volume precedente che è invece molto frastagliato. I blocchi sono lisci e squadrati. Istintivamente la caratteristica della pietra in questo punto mi ha ricordato la "scanalatura" che gli antichi egizi facevano nella pietra per estrarre i blocchi monolitici degli obelischi. Qui la sensazione è di star attraversando un spazio vuoto a cui sia stata sottratta materia, in netta contrapposizione con altri ambienti della grotta in cui si ha invece proprio la percezione di stare in uno spazio solido anche se pervaso dall'acqua.

 

Lame aguzze è sottili si trovano invece oltre, a comporre la pavimentazione di due ampie camere. Qui il bianco è rotto solo dal riflesso azzurrognolo dell'acqua sulle pareti perimetrali. La scena è romantica, nel senso che ricalca esattamente il soggetto centrale del quadro di David Kaspar Friedrich "Il naufragio della speranza", non è un'analogia, ne sarebbe la copia esatta se non fosse che il pittore tedesco non abbia mai potuto vedere questi luoghi.

Il clima è freddo. Le linee sinuose e levigate dall'acqua sono sparite, restano i grandi blocchi di pietra che dall'alto sono attirati per gravità verso il fondale di lastre rotte come cocci di vetro. È suggestivo.

Il cambio d'umore è repentino, l'atteggiamento interiore diventa serio. Lo sguardo è tagliato e interrogato da questi continui susseguirsi di piani.

D'improvviso la camera si interrompe a destra con un tunnel. Tornano le linee morbide, alla pareti si vedono i segni di piena, marcati da permanenze cromatiche differenti. D'intesa scatta il segnale di rientro, ancora molto lavoro c'è da fare per chi deve pulire le linee. Sollevato dall'incarico appoggio sugli avambracci l'attrezzatura video e lascio i fari accesi a mezza potenza per godermi i quaranta minuti di pinneggiata che ci riportano all'ingresso.

È stata una giornata di duro lavoro in acqua e fuori per tutto il team che, coeso, ha rinunciato al piacere individuale dell'immersione per mettere a disposizione altrui le proprie competenze. Stiamo per arrivare quasi alla linea che conduce alla franata d'uscita quando gli occhi cadono su un insolito oggetto ferroso: è un'ancora dell'ammiragliato. A questo punto mi sorge il dubbio se registrare l'immersione come "cave" o su relitto!?

Il labbro inferiore è un po' infreddolito quando esco, ogni tanto duole, ma non abbastanza per togliermi il sorriso nel ringraziare i miei compagni per l'avventura appena conclusa con soddisfazione.

Ora mi aspetta di nuovo la scala.

Già… la scala!

 

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La nuova esplorazione "Exploro Orda Cave 2019" segna il punto di inizio della nuova collaborazione nata tra Gio'Sub ed Andrea "Murdock" Alpini. Istruttore subacqueo e grande appassionato di relitti e della storia che si nasconde dietro il loro silenzio, Andrea prosegue idealmente quel filone iniziato con le esplorazioni di Lorenzo Del Veneziano, promosse da Gio'Sub. Una continuità nata dalla nostra volontà di raccontare l'esperienza subacquea, in tutte le sue forme, che ha incontrato qualche cosa di nuovo nei reportage realizzati da Andrea durante le immersioni su relitti noti ma sempre visti attraverso un punto di vista personale.

Orda Cave è una grotta di cristallo di gesso che si trova sotto gli Urali occidentali. In Russia nel territorio di Perm Krai. La foce si trova vicino alla riva del fiume Kungur, appena fuori Orda. Il sistema di grotte si estende per 5,1 Km, di questi circa 4,8 chilometri si trovano sott'acqua. Questo rende il complesso una delle più lunghe grotte sottomarine e la più grande grotta di gesso sott'acqua del mondo.

Andrea "Murdock" Alpini ha accettato di buon grado questa nuova proposta targata Gio'Sub Exploro, riabbracciando le immersioni speleo che lo avevano appassionato ed avvicinato alla subacquea agli inizi della sua carriera.

Leggi i diari dell'esplorazione:

Orda cave diari - giorno 1
Orda cave diari - giorno 2
Orda cave diari - giorno 3
Orda cave diari - giorno 4
Orda cave diari - giorno 5

I numeri della spedizione Exploro ORDA Cave 2019:

3 le ore di filmato girato
4 i voli presi
5 le immersioni fatte in grotta

6 i componenti del nostro team

-15 metri, la profondità media della grotta

-10,0°C i gradi nella parte aerea della grotta

-20,0°C la temperatura media dell'aria all'esterno

-30,0°C i gradi che ci hanno accolto la mattina della partenza

90 i minuti di durata di ciascuna immersione

180 (e oltre) i gradini per arrivare al pozzo (temibili in risalita)

450 minuti complessivi di immersione in grotta

2500 metri lineari complessivi di grotta visitata
365 i giorni che mancano al ritorno!

Gio'Sub Exploro Orda Cave 2019 con Andrea "Murdock" Alpini... Obiettivo raggiunto!

 
 
 
  
  

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