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In località riva San Lorenzo, a Tremezzo (CO), si trova affondata alla profondità di -22m una gondola lariana.
Il relitto era conosciuto già nei decenni scorsi dagli anziani del ramo del Lago di Como che per motivi di pesca o trasporto avevano ben identificato la posizione della gondola. Il pescatore Sala Pietro di San Giovanni (classe 1905) ricorda già dai premi decenni del secolo scorso la presenza dello scafo sul fondale di riva San Lorenzo, non identificandolo esattamente come gondola o comballo ma come imbarcazione carica di sacchi. Tali conoscenze sono state tramandate al figlio, Angelo Sala (classe 1942), che quando calava le reti da fondale come le “perseghe” prestava attenzione a non farlo nell’area del relitto.
Il primo subacqueo a darne notizia è stato inizialmente trentacinque-quarant’anni, Rinaldo Marcelli, nel 1980 circa. Nessuno si è mai dedicato all’identificazione del relitto. Il team subacqueo composto da Andrea “Murdock” Alpini, Renato Oliva, Fabrizio Pinna si è occupato di documentare lo scafo attraverso video e fotografie oltre che attraverso rilevamenti dimensionali effettuati sul fondo.

L’origine del termine “gondola” è arcaico e da sempre riferito a una tipologia di imbarcazione veloce e agevole. Etimologicamente richiama il termine medioevale greco Kondôura, che a sua volta è derivato dal vocabolo Kòntouros che significa per l’appunto “a coda torta”. La nautica lariana è nata come diretta conseguenza delle caratteristiche ambientali e morfologiche del lago. I boschi di castagno e quercia che compongono i declivi prealpini del Lario sono divenuti i legnami utilizzati per le costruzioni dello scafo di gondole e comballi, mentre i boschi di ciliegio, robinia, carpino, frassino, olmo e betulla sono stati utilizzati per la produzione di carbonella, materiale dal duplice uso: il calore era utilizzato per la piegatura di tavole e archi delle gondole oppure per la produzione diretta di calce e cemento rapido attraverso la cottura di specifici sassi.

Lo scafo della gondola ha lunghezza pari a 19,60m con luce netta di carico di 15,80m, lo specchio coperto di poppa misura 1,70m mentre la coperta di prua è di 2,10m, larghezza massima di 5,20m, le murate hanno altezza pari a 1,80m, l’imponente timone “guernác”  misura complessivamente 2.90m di cui 1,10m è la parte della pala che si trova sopra il “tem” di poppa e la restante parte al di sotto della murata stessa. La lunga asta denominata “magnöla” che era usata per manovrare il timone non è stata chiaramente identificata sul fondo così come i remi “tremión” che originariamente erano fissati agli scalmi. La rastrelliera “rastreléra” entro cui era fissata l’asta del timone durante la navigazione, curiosamente non si trova a poppa ma verso la prua, probabilmente è stata spostata da chi ha visitato il relitto negli anni.

Sempre nella zona di poppa è possibile rintracciare la presenza di due piccole bitte metalliche, una per lato. Queste non servivano per gli ormeggi ma bensì per fissare le estremità della “traciùra”, una sorta di scotta.

L’altezza interna dello scafo è di 1,30m, sul fondo dello scafo ci sono infatti 50 centimetri di trama e ordito di tavole che con gli orizzontamenti compongono il pagliolato interno. La luce netta sotto arco è pari a 2,80m., la larghezza della tavola che compone l’arco è pari a 26 centimetri per uno spessore di 2,5 centimetri, lo scafo in corrispondenza degli archi ha dimensioni pari a 4,70m. La gondola a oggi si presenta con soli tre archi, di cui due ancora perfettamente in opera mentre un terzo si presenta rotto in corrispondenza della chiave.

L’albero, detto “mantàula”, che reggeva la vela ha circonferenza alla base pari a cinquantaquattro centimetri per un’altezza complessiva rilevata di 5,30m, in corrispondenza della sommità il legno è marcito erodendo almeno una ventina di centimetri sulla lunghezza. L’albero “arbuüsėl” si trova in parte coricato sul piano di carico della gondola per poi prolungarsi fuori bordo nel fango antistante il relitto. Questa struttura è costituita da un unico pezzo ed è possibile ancora vedere i nodi dei rami che sono stati rimossi per dare forma alla struttura navale dell’albero. La superficie velica della gondola era pari a circa 100 metri quadri.

L’interasse che costituisce l’orditura dello scheletro è pari a 50 centimetri ed è costituito da legname avente sezione pressoché quadrata con lato di 12 centimetri. Lo spessore delle tavole che costituiscono la murata è di 4 centimetri e sono giuntate con una tessitura di chiodi a testa asimmetrica utilizzati per collegare le tavole nel senso dello spessore. L’intercapedine esistente tra le varie assi era chiusa con la “tea” per poi essere calafata con la pece. La “tea” era una fibra vegetale ricavata dalla corteccia del tiglio. Nella gondola oggetto di studio, la calafatura è “scomparsa” o meglio, è divenuta solidale con le assi stesse. È ancora ben visibile sulla parte esterna delle murate il rivestimento in pece.

  

La caratteristica prua della gondola lariana presenta il “dulfén”, una componente che svolgeva la funzione di pattino per permettere allo scafo di strisciare contro il fondale durante gli approdi a terra. La delfiniera rilevata ha dimensioni piuttosto contenute, si tratta di un manufatto di 30cm circa che si congiunge sotto lo scafo con la linea prodiera. Studiando il piano di carico e i rapporti dimensionali della gondola è risultato essere in piena continuità con le gondole costruite anche in epoca successiva, la parte non adibita al carico merci è pari a 1/7 della lunghezza totale dello scafo. Questo dato ci ha permesso di calcolare la portata effettiva della gondola di Tremezzo, ovvero 350q. Il dato ottenuto è stato utilizzato come partenza per le indagini storiche circa la provenienza della gondola. L’analisi del carico trovato a bordo della gondola di Tremezzo è duplice: carbonella e sacchi compatti aventi dimensioni pari a 60x40x20cm contenenti materiale edilizio a pasta bianca. Questi dettagli sono stati di fondamentale importanza per il successivo lavoro storico condotto sulle imbarcazioni circolanti nel Lario con questa tipologia di merci. Il cemento rapido di Bellagio ha un impasto di colore giallastro/ocra chiara, mentre il gesso proveniente da Nobiallo ha la classica colorazione biancastra. Tuttavia anche la calce ha un colore grigiastro, per tanto assimilabile al gesso.
La gondola era priva di motore, tale tecnologia ha avuto i suoi primi utilizzi a partire dalla prima metà degli anni Dieci. Le imbarcazioni aventi dimensioni più ridotte normalmente portavano nomi femminili, tipicamente delle donne che componevano la Famiglia armatrice. Le imbarcazioni di dimensioni maggiori presentavano tal volta il nome del proprietario e/o del paese di appartenenza. La gondola di Tremezzo, essendo di dimensioni intermedie, dovrebbe aver avuto un nome femminile. Tuttavia sullo scafo non è stata rinvenuta alcuna lettera o elemento del nome che possa aiutare all’identificazione certa del relitto.

Tra le probabili cause dell’affondamento è stato considerato, da parte di chi scrive, un violento temporale accompagnato da venti di Argegnino. È un vento invernale, violento, a raffiche, proviene dalla Val d’Intelvi. Si biforca giungendo a Nesso e oltre a sud; a nord investe Lezzeno e si spinge freddo e con onda rinforzata sino a Bellagio. “Quando c’era vento e temporali la riva di San Lorenzo a Tremezzo era un ricovero sicuro per i barconi che provenivano carichi da Como. Davanti alla chiesa, a qualche decina di metri verso Villa Meier, c’è una gondola affondata a una profondità di circa venti metri, era carica di sacchi. [ … ] Non ricordo il nome della barca, credo fosse di Menaggio”.

Dato il contesto lacustre, le basse e costanti temperature dell’acqua, a oggi il relitto si trova in più che buono stato di conservazione complessivo. Tuttavia la presenza del vicino molo da diporto può influire molto con la preservazione futura del relitto della gondola, si rammenta la presenza di un imponente corpo morto per l’ormeggio, in cemento, nei pressi della timoneria, lato di sinistra. Fortunatamente ha solo sfiorato il relitto senza causare alcun danno.

 Per quanto riguarda il patrimonio culturale subacqueo nei suoi aspetti internazionali, è vigente la Convenzione UNESCO, adottata a Parigi il 2 novembre 2001 e ratificata dall’Italia con la legge n. 157 del 23 ottobre 2009. A caratteri più generali in Italia è comunque vigente la “Legge Urbani” ovvero la disciplina dei Beni Culturali e del Paesaggio del 22 gennaio 2004, n. 42. 

I materiali di studio saranno presentati presso il MUSEO BARCA LARIANA all’interno della conferenza “Il fondo del lago, specchio di una cultura” a cura di Andrea “Murdock” Alpini in occasione della giornata d’autunno FAI dedicata all’acqua.

Il video, girato con i fari Gio'Sub, è stato donato al museo per la fruizione pubblica. Vedi il filmato

 

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